lunedì 9 marzo 2015

Come trasformare la sofferenza (secondo il buddhismo). Un testo di Matthieu Ricard

In questi giorni di quasi-primavera sto concentrando le mie energie nello studio di alcuni testi buddhisti estremamente interessanti.
Frequentando il centro Tara Cittamani di Padova (che fa parte della grande famiglia FPMT, fondata nel 1975 da Lama Thubten Yeshe e Lama Thubten Zopa Rinpoche), ho deciso di approfondire gli insegnamenti del Dharma. Di conseguenza ho la possibilità di leggere testi che rappresentano l'essenza del buddhismo, un concentrato di saggezza e compassione; il cuore di quello che (per me) rappresenta la capacità umana di andare oltre la propria condizione. Senza spostarsi di un passo.

Per la precisione, sto affrontando l'argomento "Lo Rig" - Menti e Cognitori - in cui si analizzano con una precisione millimetrica i nostri meccanismi mentali.
Oltre a questo, mi capita di leggere anche testi più "narrativi" - chiamiamoli così - che illustrano gli stessi concetti dal punto di vista delle moderne neuroscienze.
Tra le altre cose, vorrei condividere uno stralcio di un discorso tenuto da Matthieu Ricard (conosciuto anche come "l'uomo più felice del mondo", in link un suo intervento TED) sul tema del sistema di proiezione e rappresentazione tipico della nostra mente. Credo che in poche righe sia riuscito a raccontarci con semplicità buona parte di quello che dovremmo sempre tenere a mente.

"Vorrei spiegare un paio di cose su come vengono usate le immagini mentali nella pratica buddhista, dove sono uno strumento dello sforzo necessario alla trasformazione personale. Vi chiederete perché mai i buddhisti passino così tanto tempo a cercare di visualizzare delle immagini, ma tali sforzi vanno visti in una prospettiva più vasta: fanno parte dell'obiettivo più generale di conseguire una trasformazione del modo in cui percepiamo il mondo fenomenico, oltre che del modo in cui concepiamo la natura del percettore, dell'io, del soggetto.
Perché mai trasformare queste percezioni? Che c'è di sbagliato nel modo in cui di solito percepiamo il mondo?

Di solito, quando percepiamo il mondo, non possiamo fare a meno di assegnargli dei valori e dei giudizi; in qualche caso, naturalmente, questo ci aiuta a "funzionare" in questo mondo. Se sappiamo che una cosa è molto calda, faremo attenzione; se sappiamo che una cosa è pericolosa, ci terremo a distanza; ma il processo si solidifica rapidamente, e ben presto ecco che cominciamo ad assegnare o a imputare certe caratteristiche agli oggetti esterni ritenendo che siano intrinseche ad essi, mentre in realtà non lo sono.
Possiamo pensare che questo pavimento sia bello perché lo percepiamo tale, ma ecco che in breve tenderemo a credere che questo pavimento sia intrinsecamente bello, o intrinsecamente brutto. Crediamo che i suoni siano intrinsecamente piacevoli o spiacevoli, e ciò vale nel caso del tatto, del gusto e di tutte le nostre esperienze sensoriali. In realtà, esiste una dinamica profondamente interdipendente tra i fenomeni esterni e la nostra mente. Percepiamo le cose, assegnamo ad esse dei valori, e poi tentiamo di possederle o di evitarle fondandoci su tali giudizi; e in ultimo finiamo per credere che le caratteristiche che noi imputiamo agli oggetti siano invece delle loro proprietà inerenti. In tali modo, sperimentiamo una compulsione molto più forte ad attirarli o a respingerli.

Il problema è che le nostre esperienze di bramosia o di repulsione non corrispondono alla realtà. Le cose, in sé, non sono intrinsecamente belle o piacevoli. Una rosa può essere bella ai nostri occhi, ma la sua bellezza non significa molto per una balena o un pipistrello. Dal momento che la nostra percezione non risponde alla vera realtà, si finisce per avere un senso di frustrazione, di tormento, di conflitto interiore e sofferenza.
E questo vale anche per l'esperienza che il percettore (cioè l'individuo, ndr) ha di se stesso: sappiamo che il nostro corpo cambia, passando da quello di un neonato a quello di un adulto, e poi di un anziano; sappiamo anche che nella nostra esperienza ogni istante porta qualcosa di nuovo. E tuttavia non possiamo fare a meno di pensare che in questo flusso di trasformazione costante ci sia un nucleo, l'io, che si definisce, che è davvero noi, e che continua in modo unitario per tutto questo processo. Questa è una nostra credenza istintiva, e una volta che abbiamo questa identificazione centrale con un io, ovviamente vogliamo proteggerlo e compiacerlo: sentimenti di paura, repulsione o attrazione sono legati ad un forte senso di auto-importanza che deriva dal credere in questo io. Il medesimo senso di auto-importanza offre anche un bersaglio per la sofferenza. Grazie all'identificazione con questo io centrale, diventiamo molto vulnerabili a ogni genere di afflizione emotiva: bramosia, odio, orgoglio, disprezzo e gelosia intensi. La gelosia, per esempio, non potrebbe esistere senza avere come causa un senso di auto-importanza.

Nel pensiero buddhista queste esperienze sono considerate percezioni illusorie, giacché con esse solidifichiamo sia la realtà interna del flusso di coscienza (che invece cambia costantemente), sia il flusso dei fenomeni esterni (che cambiano anch'essi di continuo). Imputare o sovraimputare ai fenomeni i nostri giudizi, i nostri "mi piace" o "non mi piace" in modo eccessivo, ci induce a dare un'immensa importanza al sé, il che, a sua volta, ci fa funzionare in un modo che causa tormento e sofferenza.
L'idea fondamentale del pensiero buddhista è riconoscere la sofferenza e le sue cause per quello che sono, e questa è la risposta all'interrogativo"che cosa c'è di sbagliato nel nostro modo di percepire il mondo fenomenico": è semplicemente sbagliato, nel senso che finisce insofferenza e tormento. A sua volta il tormento ci impedisce di essere aperti agli altri e di esprimere l'altruismo".
Da "Prospettive buddhiste sulle immagini mentali" contenuto in Il Buddha in laboratorio: dialoghi fra il Dalai Lama e la scienza sulla natura della mente a cura di Anne Harrington e Arthur Zajonc.

8 commenti:

Tandoori ha detto...

si può arrivare a percepire un allineamento o un disallineamento dalla realtà?

Elisa Chiodarelli ha detto...

ciao giuseppe,
...allineamento/disallineamento sono proprio il cuore del problema.Credo che siamo tutti piuttosto disallineati, per la maggior parte del tempo. Oltre alla comprensione intelletuale di questa situazione, la meditazione è forse lo strumento più potente che ci può servire a ri-allinearci.
Baci!

bondenocom ha detto...

I Greci la chiamavano atarassia e mi sta bene; ma in pratica si fa qualcosa quando non si medita?

Elisa Chiodarelli ha detto...

ciao Paolo,
si certo, quando non si medita, si vive! La prima funzione della meditazione è la stabilizzazione della mente, che invece normalmente è un continuo flusso di giudizi, concettualizzazioni, "mi piace" o "non mi piace".
Questo ci fa soffrire, ci fa essere arrabbiati, depressi, tristi, ecc.
Con la meditazione è più facile fare attenzione e vedere queste emozioni per quelle che sono. E lasciarle andare.
Ne risulta una vita più piena di gioia, compassione, pazienza, non giudizio.
In tibetano la parola "meditazione" significa "familiarizzare". Cioè renderci familiari con la mente e con i suoi meccanismi automatici. Per abbandonarli.
Grazie di essere passato di qua!

Silvia Merialdo ha detto...

Molto interessante, Elisa, mi procuro il libro.
Hai qualche altro libro da consigliarmi sull'argomento? (anche di livello base)

Elisa Chiodarelli ha detto...

ciao cara Silvia!
il campo buddhismo e neuroscienze è davvero affascinante, perché si creano squarci e ponti dove non ti aspetteresti.
Un libro che mi è stato raccomandato da una studiosa ed esperta del settore è "La vita emotiva del cervello", di Richard J Davidson. Parla di neuroscienze emozionali e del fattore neuroplasticità, ovvero la capacità delle cellule cerebrali di modificarsi se sollecitate - per esempio con la meditazione. All'argomento principale si mescola la storia dell'autore, che lavora in questo campo da 30 anni. Mi assicurano essere di lettura piacevole, che non guasta.
Poi ci sono mille altre letture sull'argomento meditazione, che sono dei piccoli gioielli di saggezza e compassione... se ti interessa anche quest'altra cosa più specifica, non hai che chiedere!
bacioni!

Silvia Merialdo ha detto...

Grazie del consiglio!
I collegamenti con le neuroscienze mi interessa molto, mi sembra perfetto per le mie due anime (una scientifica e l'altra no)!
Grazie e un caro saluto, ti farò sapere!

Unknown ha detto...
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