mercoledì 13 luglio 2011

Storie di stoffa

Una delle tappe importanti dell'ultimo viaggio in Gujarat è stata una fondazione con sede a Sumrasar Sheikh, un villaggio a una ventina di kilometri da Bhuj, che si occupa di preservare e promuovere l'arte tessile dei gruppi tribali locali.
Kala Rakhsa, questo il suo nome. è stata fondata nel 1993 da un'americana che all'epoca si trovava in Kutch per approfondire i suoi studi sulla storia dell'artigianato locale, particolarmente ricco, oltre che di splendidi manufatti tessili, anche di oggetti in terracotta, in metallo, in legno scolpito.

Judy Frater
Judy Frater racconta che si trovava in un negozio di Bhuj quando vide entrare un signore distinto e molto elegante. Portava una borsa di stoffa a tracolla tutta ricamata a motivi geometrici. Judy, curiosa di saperne di più, gli domandò dove l'avesse presa, e Prakash, rispose che l'aveva ricamata la madre. Che al villaggio tutte le donne ricamavano, ma certo quella era una borsa speciale, perchè combinava una funzione pratica a una forma moderna e un decoro tradizionale.
Fu in questo modo che Judyben (il suffisso 'ben' -  sorella - si aggiunge sempre alla fine dei nomi femminili, per indicare famigliarità e rispetto) entrò a far parte della comunità locale; conobbe la madre di Prakash-bhai (bhai - fratello) e molte altre donne che continuavano a ricamare, tessere e cucire per le necessità famigliari.

Prakash Bhanani - socio fondatore
 Poi, racconta la stessa Judy Frater, ad un certo punto furono le donne stesse a chiederle di smettere di limitarsi a studiare quello che loro facevano e, invece, di iniziare ad aiutarle concretamente.
Kala Raksha, così come altre fondazioni che si trovano in Kutch (per esempio Shrujan, fondata da Chandaben Shroff), cerca di proteggere la tradizione artigianale locale e garantire un reddito minimo alle donne che aderiscono al progetto.
In questo modo si salvano le storie e le culture di questo lembo di India, culture che sono le donne a tramandare, attraverso la tessitura e il ricamo; si salvaguarda l'identità di piccole comunità marginali, altrimenti fagocitate troppo velocemente dalla globalizzazione; si dà la possibilità proprio alle donne di migliorare e rafforzare la propria posizione in famiglia e nella comunità locale.
Kala Raksha - e anche le altre organizzazioni - offre poi l'opportunità ai giovani di studiare nella propria scuola per approfondire la conoscenza dell'arte tessile, dando la possibilità anche di svilupparla in un'ottica di vendita sul mercato indiano e internazionale; offre infine dei servizi fondamentali come l'assistenza sanitaria, legale e la possibilità di accedere al micro-credito.
Un momento particolarmente importante - mi racconta Judyben -  fu quando, dopo il terribile terremoto che devastò il Kutch nel 2001, le donne riuscirono a reagire positivamente trovando soluzioni originali. Proprio grazie al ricamo.
Judy infatti suggerì loro di raccontare la propria esperienza del sisma, ma di farlo con ago e filo.
Ne risultarono una serie di magnifici lavori realizzati con la tecnica dell'appliqué (pezzetti di stoffa cuciti su una base di fondo, con forme e colori contrastanti), in cui le donne raccontavano delle loro case crollate, gli animali fuggiti, le difficoltà quotidiane.
Venne organizzata una mostra che riscosse un grande successo e da allora questa tecnica viene utilizzata abitualmente per creare pannelli figurativi da vendere nel negozio della fondazione.


Quelli che vi propongo qui rappresentano due storie di critica sociale, realizzate con garbo e molto humor.
Nel primo si è voluto rappresentare la storia di un gatto che uccide 100 topi. La signora che lo ha cucito spiega che il gatto è mussulmano, infatti ha una fascia verde legata attorno alla testa. Sta andando alla moschea per chiedere perdono... ha appena ucciso 100 topi, e si pente amaramente!


Nella seconda storia invece - realizzata da Meghiben, una delle donne che sono andate persino negli Stati Uniti a raccontare la propria esperienza - si è voluto rappresentare una situazione tipica: le figure stese a letto sono persone che hanno 'mangiato' a sufficienza e nulla di più.
Meghiben sostiene che se noi 'mangiamo' troppo (ovvero consumiamo più del dovuto, più di quello che possiamo permetterci) diventiamo troppo alti e usciamo dalla lunghezza del nostro letto con i piedi. Dunque: bisogna consumare il giusto, altrimenti ne subiremo le conseguenze. Saggio, no?

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