giovedì 30 settembre 2010

Su il Sipario!


In Rajasthan, il teatro dei burattini vanta una lunga tradizione. Come in molte culture, narra le storie di Re e Regine, Demoni e Dei, ma anche eroi vicini alla cultura tradizionale di villaggio.
A Tilonia, al Barefoot College, i burattini però rivestono un ruolo particolare che è quello di dar voce ai problemi della gente: dalle dispute tra famiglie in merito a questioni di villaggio, ai problemi legati alle difficoltà economiche, di lavoro, di debiti contratti dai capifamiglia, i matrimoni precoci, il degrado dell'ambiente, i diritti non riconosciuti.

Ram Niwas, il responsabile della sezione teatrale, costruisce personalmente, assieme ai suoi aiutanti, i burattini di cartapesta che vengono realizzati per gli spettacoli. In un piccolo laboratorio poi alcune donne cuciono gli abiti di scena.
I personaggi sono quelli della realtà locale: lo stesso Bunker Roy (nella foto sotto), Aruna, sua moglie, e tutti i responsabili del Barefoot College; ma anche il Saggio, l'Usuraio, la Levatrice, il Maestro di scuola, la Pettegola, ecc.


La piccola compagnia teatrale si sposta di villaggio in villaggio, raccogliendo durante il giorno le testimonianze delle persone (adulti e bambini) che vogliono porre di fronte al pubblico un problema o affrontare una questione importante. Ram Niwas scrive poi assieme agli altri attori della compagnia la sceneggiatura, discutendo i vari aspetti della questione per cercare di proporre efficacemente l'argomento alla platea.


La sera infine, di fronte all'intero villaggio, va in scena la rappresentazione, preceduta da una introduzione del burattino più famoso di Tilonia: Jockim Cha Cha (foto sopra, Ram Niwas sta dipingendo il viso di Jockim), lo zio saggio che apre la serata, spiega agli spettatori quel che avverrà durante la commedia, dialoga con loro e trae la morale al termine dello spettacolo.
Le sue parole vengono tenute in grande considerazione: ci racconta Ram Niwas che una volta per esempio fu grazie a lui che le donne di un villaggio che stavano lavorando alla costruzione di un tratto di autostrada, si convisero a scioperare per ottenere stipendi più equi e un trattamento più dignitoso.
Potere del Teatro!

sabato 25 settembre 2010

Energia solare a piedi scalzi

"even a single lamp dispels the deepest darkness" - M K Gandhi
(anche una sola lampada può rischiarare l'oscurità più profonda)



Un altro aspetto molto interessante e particolarmente attuale legato al viaggio-reportage a Tilonia per documentare i diversi aspetti del Barefoot College è lo sviluppo della elettrificazione ad energia solare.
In effetti il College iniziò molti anni fa ad interessarsi all'energia solare come alternativa valida alla mancanza cronica di elettricità nei villaggi indiani. Nel 1984 una agenzia di sviluppo danese istallò a Tilonia i primi pannelli solari, affidandone la manutenzione ad un ingegnere che dopo poco dovette rientrare, lasciando il College a chiedersi come si poteva fare per garantire il buon funzionamento dell'impianto. Così nacque il laboratorio solare, che si trasformò poco dopo in scuola, il cui intento era ed è quello di formare ingegneri solari a piedi scalzi in grado di gestire autonomamente l'assemblaggio e il mantenimento della strumentazione ad energia solare.
Questa decisione rientra perfettamente nella politica del College che mira a demistificare la tecnologia e a decentralizzare il potere e la capacità di gestirla in autonomia. Si tratta poi di una posizione piuttosto vicina a quella di Gandhi, che certo non vedeva di buon occhio il progresso tecnologico che toglie lavoro alla gente e lo consegna nelle mani dei pochi che lo possono controllare. Lo stesso Bunker sostiene che la tecnologia può essere introdotta nel villaggio solo se lo stesso è in grado poi di gestirne ogni aspetto senza dover dipendere da esperti venuti dalla città.
Fin dagli anni '80 quindi il Barefoot College iniziò a formare persone analfabete o semianalfabete, soprattutto donne, alla costruzione e alla manutenzione di lampade, batterie, pannelli solari e fornelli solari. La scelta ricadde all'inizio sulle ragazze del villaggio perchè si mostrarono molto interessate e motivate ad imparare e, grazie alle nuove competenze acquisite, poterono poi lentamente guadagnarsi una posizione migliore nell'ambito della società (e persino uno stipendio!).
Una delle scommesse più importanti del College fu poi quella di esportare il sistema degli ingegneri solari a piedi scalzi nelle zone rurali arretrate dell'India e del mondo.
Nei primi anni '90 un certo numero di pannelli solari vennero istallati in alcuni villaggi del Ladakh, dove la lontananza e la difficoltà di accesso di certe zone le rendeva quasi del tutto escluse dall'approvvigionamento di energia elettrica e dove i lunghi inverni freddi causavano molte difficoltà alla gente dei villaggi.


Il Barefoot College poi arrivò anche in Afghanistan, migliorando di fatto il sistema di vita di diversi villaggi. E poi l'Africa e l'America latina.
E' Bunker che visita personalmente le zone più arretrate del pianeta, parlando ai capi villaggio perchè si convincano a mandare qualche persona, possibilmente donne, ad imparare questo mestiere.
Così dagli anni '90 più di mille persone sono passate al College, rimanendo per un training di 6 mesi prima di poter fare ritorno a casa portando con sè nuove tecnologie e nuove prospettive.
Le donne sono molto orgogliose di contribuire allo sviluppo del proprio villaggio, senza contare i benefici economici dell'uso dell'energia solare. Si calcola infatti un enorme risparmio in kerosene, carbone, legna (che vengono normalmente utilizzati per cucinare ed illuminare le abitazioni) oltre agli effetti positivi sull'ambiente.
Così come Gandhi suggeriva di filare il cotone indiano quotidianamente per garantirsi una indipendenza dai sistemi 'ufficiali' di mercato che imponevano prodotti importati e sfruttavano ed esaurivano le risorse degli indiani, al Barefoot College si propone il sistema del learning by doing in cui anche per la realizzazione di strumenti tecnologici come quelli ad energia solare, ci sia la possibilità di riguadagnarsi indipendenza e libertà.

Ma l'utilità di questo sistema è anche quella di essere riuscito ad infondere fiducia alle persone più vulnerabili e apparentemente senza prospettive: le donne in particolare hanno l'opportunità di migliorare la propria vita e quella della comunità di villaggio nonostante siano senza titoli o senza istruzione. Anche in questo campo dunque il lavoro più importante e quello più difficile è quello di cambiare la mentalità delle singole persone per aprirla a possibilità mai considerate in precedenza.

Sabato 2 ottobre siete invitati a vedere il mio documentario sul Barefoot College nell'ambito del festival Internazionale Ferrara 2010.
Alla sala Boldini, via G. Previati, 18 a Ferrara (in centro, a due passi dal Teatro Comunale). Alle 18,00

la foto dei monaci che trasportano i pannelli solari è di Mr. Bhurji, fotografo scomparso prematuramente in servizio al Barefoot College per tanti anni. E' una delle immagini-simbolo del College.

domenica 19 settembre 2010

Scuole di notte


Questo mese sulla rivista Madrugada, edita dall'associazione Macondo, è uscito un mio articolo sul sistema educativo proposto dal Barefoot College di Tilonia, di cui ho già parlato qui e che costituisce il soggetto del documentario che presento tra poco al Festival Internazionale Ferrara.
Lo riporto qui di seguito:

"Sono quasi le sei di pomeriggio e Neraj, una ragazzina di 12 anni che vive nel villaggio di Kotri, nello stato del Rajasthan, in India, si avvia verso casa con le capre che ha portato al pascolo.
E’ la terza di cinque figli –tre femmine e due maschi- di una povera famiglia di contadini delle campagne indiane.
Deve ancora mungere le due capre e dar loro da bere, prima di potersi dare una rinfrescata al viso e correre in una fattoria poco lontano il cui proprietario ha deciso di prestare gratuitamente una delle stanze della casa alla Scuola di Notte dei bambini di questa zona.
Neraj non vuole perdere la lezione, del resto deve dare il buon esempio agli altri, dato che è impegnata nell’organizzazione delle Scuole di Notte e anche come presidente del Bal Sansad, il Parlamento dei Bambini, che amministra le 559 scuole sull’intero territorio nazionale.

A dare la possibilità a Neraj e ad altre migliaia di bambini poveri che vivono nelle zone rurali dell’India di andare a scuola e partecipare alla vita sociale e politica della comunità è una organizzazione nata quasi 40 anni fa con il nome di SWRC (Social Work and Research Center), oggi conosciuta con il nome di Barefoot College, la Scuola dei Piedi Scalzi.

Fondata nel 1972 da Bunker Roy, giovane esponente della ricca borghesia bengalese deciso ad intraprendere una ‘carriera’ poco ortodossa, il Barefoot College si propose da subito di inserirsi concretamente nella realtà rurale indiana provando a risolvere alcune delle emergenze locali.
Partendo dalle esigenze concrete della gente, in prima istanza la salute, l’acqua potabile, il lavoro, l’organizzazione cercò una strada che venisse direttamente dalle persone coinvolte, e che le stesse potessero gestire senza intermediari e senza aiuti esterni.

Tra le diverse soluzioni proposte dal Barefoot College, in particolare ci concentriamo sull’aspetto ‘educazione’, che l’organizzazione ha strutturato in maniera originale.
I presupposti fondamentali dell’approccio Barefoot in campo educativo si possono riassumere in parte in una frase di Gandhi: ‘imparare a leggere e scrivere non è il fine dell’educazione e nemmeno il suo principio. É soltanto uno dei mezzi con cui si possono educare l’uomo e la donna. Leggere e scrivere di per sé non sono educazione’.
Come il Mahatma infatti, Bunker Roy sostiene che non sia il grado di istruzione o un attestato ufficiale a stabilire il valore e l’utilità di una persona, ma la sua concreta capacità di contribuire al proprio sviluppo e a quello della comunità. Il significato di educazione dunque va ben oltre il puro esercizio intellettuale, ma comprende invece i saperi tradizionali appresi dalla famiglia, la consapevolezza e la partecipazione civica, l’apprendimento di un lavoro manuale produttivo.
Questi principi però dovevano essere applicati ad una società in cui l’analfabetismo e l’abbandono scolastico erano preponderanti.
I figli dei contadini indiani, ieri come oggi, sono esclusi dalla scuola governativa per diversi motivi: sono bambini che devono necessariamente contribuire al mantenimento familiare aiutando nei lavori domestici, nei campi o nell’allevamento degli animali. Le scuole governative sono spesso troppo costose o troppo lontane, senza contare l’annoso problema dell’assenteismo cronico dei maestri statali che disertano le lezioni vanificando gli sforzi delle famiglie.
Il Barefoot College pensò dunque, fin dal 1975, di proporre un approccio diverso al problema, istituendo le prime Night Schools, scuole notturne che accolgono i bambini al ritorno dalle incombenze quotidiane per offrire tre ore di lezione tenute da un ‘insegnante a piedi scalzi’. Fu il College a proporre che gli insegnanti, stipendiati dalla comunità (e quindi controllati dalla comunità di villaggio), fossero formati internamente; sostenuti da una profonda motivazione e passione per questa professione, anche senza un titolo ufficiale potevano, dopo un training appropriato insegnare nelle scuole.
Il Governo del Rajasthan si oppose fermamente a queste proposte, sostenendo che mandare a scuola dei bambini dopo una giornata di lavoro fosse un’ingiustizia e che farli seguire da degli insegnanti senza titoli fosse illegale. Bunker Roy però proseguì sulla strada intrapresa, e oggi 3500 bambini (di cui 2800 femmine) frequentano regolarmente le Night Schools nel solo stato del Rajasthan.


Le scuole, ospitate in locali messi a disposizione gratuitamente da qualche membro della comunità di villaggio, sono rifornite di acqua potabile (che purtroppo non sempre è a disposizione nelle scuole governative) e di illuminazione ad energia solare.
Le materie insegnate comprendono, oltre a quelle tradizionalmente inserite nel piano di studi, anche educazione civica e una disciplina pratica, che dia l’opportunità -soprattutto alle bambine- di intraprendere poi una professione autonoma.
Ma durante le lezioni, aperte da una canzone che parla di un unico Dio unico, che può avere tanti nomi, si parla anche dei problemi quotidiani: le difficoltà nel lavoro dei genitori, le caste, i matrimoni precoci, l’inquinamento dell’ambiente.
Nel 1993 si costituì uno speciale organo che amministra le centinaia di scuole di notte sparse su tutto il territorio indiano. Il Bal Sansad, Parlamento dei Bambini, è formato da un presidente (oggi è Neraj, la ragazzina di cui parlavamo) e 13 ministri, eletti dai bambini delle Night Schools ogni due anni. Il Parlamento si riunisce una volta al mese per discutere dei problemi delle scuole: l’approvvigionamento di materiale didattico, l’efficienza dei maestri, l’agibilità delle aule, la partecipazione dei bambini alle lezioni. Non è un gioco, è un organo che ha concreti poteri.
L’idea che lo sostiene è che la politica, quando è pulita è fatta per migliorare la vita delle persone (grandi e piccole), e che ciascuno può e deve dare il proprio contributo perché il sistema funzioni. Molti dei bambini che hanno fatto parte del Parlamento proseguono in età adulta il loro impegno nell’ambito del Barefoot College – e delle centinaia di altre piccole associazioni locali derivate dal College, per portare avanti il lungo e paziente lavoro di cambiamento della mentalità: trasformare la gente delle campagne, analfabeti e semianalfabeti che spesso non hanno consapevolezza delle proprie possibilità e dei propri diritti in persone autonome, responsabili e in grado di affermare la propria dignità".

mercoledì 8 settembre 2010

Mango curry e souvenir


La storia e i profumi di questo libro ci conducono dall'India all'Africa all'Europa seguendo il destino degli immigrati indiani nell'Africa orientale al seguito dei colonizzatori europei.
Gli antenati della scrittrice, Yasmin Alibhai Brown, giunsero in Uganda per cercare fortuna - e lavoro - adattandosi a qualunque occupazione, finendo per lo più per divenire commercianti nelle grandi città così come nei luoghi più remoti e pericolosi, ma in qualche caso facendo davvero fortuna in una terra considerata dagli espatriati come una sorta di paradiso terrestre.
Il libro si apre con il racconto della scrittrice e protagonista nel momento in cui fugge dall'Africa divenuta troppo pericolosa per la comunità indiana, braccata dall'esercito del dittatore Idi Amin salito al potere all'inizio degli anni '70.
Da questo nodo temporale il racconto si stende nel passato, a rievocare l'infanzia e l'adolescenza della scrittrice; ma anche negli anni successivi all'arrivo della Alibhai Brown in Inghilterra, ripercorrendo parallelamente alla storia personale anche la storia sociale e politica degli anni africani e di quelli inglesi.
Ma mentre leggiamo della vita di sacrifici e di umiliazioni degli immigrati indiani in Africa o in Inghilterra (erano comunque considerati degli 'ospiti' più o meno graditi, ovunque si trovassero), un profumo piccante di zenzero e curcuma che soffriggono nel burro caldo ci accompagna; o una zaffata di caramello ci sorprende mentre voltiamo pagina, facendoci venire l'acquolina in bocca...
La narrazione infatti è letteralmente farcita di ricette che la scrittrice ha collezionato nel corso di quasi 60 anni, la maggior parte delle quali ereditate dalla madre Jena, abilissima cuoca e personaggio di straordinaria umanità. Ricette dolci e salate risultato di un mix culturale derivato dalla lunga permanenza in Africa o nel Regno Unito e costruito attorno alla storia della comunità indiana mussulmana ismailita di cui la protagonista fa parte.
Altro elemento di grandissimo interesse sono i personaggi che animano il libro: dal domestico africano Japani, a servizio della famiglia della Alibhai Brown negli anni '50, alla formidabile Mama Kuba, beneamata nonna adottiva della scrittrice, ai vari zii e cugini con i loro vizi e le loro stravaganze, al V.A. (Vero Amore) e primo marito della scrittrice, ma soprattutto Kassim, il padre - personaggio eccentrico quanto inaffidabile - e la madre Jena, protagonista assieme alla scrittrice delle vicissitudini della famiglia eternamente in esilio.

Dato poi che mi piace molto cucinare (lo ammetto, il titolo mi ha catturata proprio per i suoi ingredienti golosi), ho provato qualcuna delle ricette, che vi ripropongo qua sotto...

"[...] Talora la mamma comprava un piatto di kuku paka, e in quelle sere andavo a letto con la camicia da notte macchiata di salsa giallina e odorosa di cocco, sognando la volta successiva.

Kuku Paka (per 4 o 5 persone)

il succo di mezzo lime, 2 cucchiaini di aglio tritato, 1 cucchiaio di zenzero tritato, 2 peperoncini verdi piccanti, le foglie lavate di un mazzetto di coriandolo fresco (mettetene da parte metà e tritate le rimanenti in un tritatutto insieme a tre cucchiai d'acqua e ai peperoncini verdi), 3 cucchiai d'olio, 1 un grosso pollo, spellato e tagliato a pezzi piuttosto grandi, 1 cipolla di medie dimensioni tritata, 1 scatola di pomodori pelati in pezzi (o 4 pomodori freschi tagliati a cubetti), 1 cucchiaino di curcuma, 1/2 tazza di anacardi non salati (frantumati ma non ridotti in polvere), 1 lattina e mezza di latte di cocco.

Mescolate il succo di lime, l'aglio, lo zenzero e la mistura di coriandolo e peperoncino. Amalgamatevi un cucchiaio d'olio e spalmate la salsa sui pezzi di pollo. Disponete questi ultimi in una teglia da forno e cuoceteli a 200° per quindici minuti, poi riducete la temperatura a 170° e lasciate la teglia nel forno per altri dieci minuti. Girate i pezzi un paio di volte durante la cottura.
Nel frattempo mettete il resto dell'olio in una padella e soffriggetevi la cipolla, tritata il più finemente possibile. Quando inizia a imbiondire, aggiungete i pomodori, la curcuma e gli anacardi e continuate a cuocere a fiamma media per dieci minuti buoni. Versate nella padella il latte di cocco e lasciate sobbollire il tutto piano piano, canticchiando e mescolando di tanto in tanto. Il risultato finale dovrebbe essere una bella salsa cremosa, densa e dorata. Togliete la pentola dal fuoco e aggiungetevi le foglie di coriandolo rimaste. Versate la salsa sul pollo, rimettete la teglia nel forno già caldo e fate cuocere per un quarto d'ora. [...]".


Mango curry e souvenir, di Yasmin Alibhai-Brown, Neri Pozza 2010, collana Il cammello battriano
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