domenica 19 settembre 2010

Scuole di notte


Questo mese sulla rivista Madrugada, edita dall'associazione Macondo, è uscito un mio articolo sul sistema educativo proposto dal Barefoot College di Tilonia, di cui ho già parlato qui e che costituisce il soggetto del documentario che presento tra poco al Festival Internazionale Ferrara.
Lo riporto qui di seguito:

"Sono quasi le sei di pomeriggio e Neraj, una ragazzina di 12 anni che vive nel villaggio di Kotri, nello stato del Rajasthan, in India, si avvia verso casa con le capre che ha portato al pascolo.
E’ la terza di cinque figli –tre femmine e due maschi- di una povera famiglia di contadini delle campagne indiane.
Deve ancora mungere le due capre e dar loro da bere, prima di potersi dare una rinfrescata al viso e correre in una fattoria poco lontano il cui proprietario ha deciso di prestare gratuitamente una delle stanze della casa alla Scuola di Notte dei bambini di questa zona.
Neraj non vuole perdere la lezione, del resto deve dare il buon esempio agli altri, dato che è impegnata nell’organizzazione delle Scuole di Notte e anche come presidente del Bal Sansad, il Parlamento dei Bambini, che amministra le 559 scuole sull’intero territorio nazionale.

A dare la possibilità a Neraj e ad altre migliaia di bambini poveri che vivono nelle zone rurali dell’India di andare a scuola e partecipare alla vita sociale e politica della comunità è una organizzazione nata quasi 40 anni fa con il nome di SWRC (Social Work and Research Center), oggi conosciuta con il nome di Barefoot College, la Scuola dei Piedi Scalzi.

Fondata nel 1972 da Bunker Roy, giovane esponente della ricca borghesia bengalese deciso ad intraprendere una ‘carriera’ poco ortodossa, il Barefoot College si propose da subito di inserirsi concretamente nella realtà rurale indiana provando a risolvere alcune delle emergenze locali.
Partendo dalle esigenze concrete della gente, in prima istanza la salute, l’acqua potabile, il lavoro, l’organizzazione cercò una strada che venisse direttamente dalle persone coinvolte, e che le stesse potessero gestire senza intermediari e senza aiuti esterni.

Tra le diverse soluzioni proposte dal Barefoot College, in particolare ci concentriamo sull’aspetto ‘educazione’, che l’organizzazione ha strutturato in maniera originale.
I presupposti fondamentali dell’approccio Barefoot in campo educativo si possono riassumere in parte in una frase di Gandhi: ‘imparare a leggere e scrivere non è il fine dell’educazione e nemmeno il suo principio. É soltanto uno dei mezzi con cui si possono educare l’uomo e la donna. Leggere e scrivere di per sé non sono educazione’.
Come il Mahatma infatti, Bunker Roy sostiene che non sia il grado di istruzione o un attestato ufficiale a stabilire il valore e l’utilità di una persona, ma la sua concreta capacità di contribuire al proprio sviluppo e a quello della comunità. Il significato di educazione dunque va ben oltre il puro esercizio intellettuale, ma comprende invece i saperi tradizionali appresi dalla famiglia, la consapevolezza e la partecipazione civica, l’apprendimento di un lavoro manuale produttivo.
Questi principi però dovevano essere applicati ad una società in cui l’analfabetismo e l’abbandono scolastico erano preponderanti.
I figli dei contadini indiani, ieri come oggi, sono esclusi dalla scuola governativa per diversi motivi: sono bambini che devono necessariamente contribuire al mantenimento familiare aiutando nei lavori domestici, nei campi o nell’allevamento degli animali. Le scuole governative sono spesso troppo costose o troppo lontane, senza contare l’annoso problema dell’assenteismo cronico dei maestri statali che disertano le lezioni vanificando gli sforzi delle famiglie.
Il Barefoot College pensò dunque, fin dal 1975, di proporre un approccio diverso al problema, istituendo le prime Night Schools, scuole notturne che accolgono i bambini al ritorno dalle incombenze quotidiane per offrire tre ore di lezione tenute da un ‘insegnante a piedi scalzi’. Fu il College a proporre che gli insegnanti, stipendiati dalla comunità (e quindi controllati dalla comunità di villaggio), fossero formati internamente; sostenuti da una profonda motivazione e passione per questa professione, anche senza un titolo ufficiale potevano, dopo un training appropriato insegnare nelle scuole.
Il Governo del Rajasthan si oppose fermamente a queste proposte, sostenendo che mandare a scuola dei bambini dopo una giornata di lavoro fosse un’ingiustizia e che farli seguire da degli insegnanti senza titoli fosse illegale. Bunker Roy però proseguì sulla strada intrapresa, e oggi 3500 bambini (di cui 2800 femmine) frequentano regolarmente le Night Schools nel solo stato del Rajasthan.


Le scuole, ospitate in locali messi a disposizione gratuitamente da qualche membro della comunità di villaggio, sono rifornite di acqua potabile (che purtroppo non sempre è a disposizione nelle scuole governative) e di illuminazione ad energia solare.
Le materie insegnate comprendono, oltre a quelle tradizionalmente inserite nel piano di studi, anche educazione civica e una disciplina pratica, che dia l’opportunità -soprattutto alle bambine- di intraprendere poi una professione autonoma.
Ma durante le lezioni, aperte da una canzone che parla di un unico Dio unico, che può avere tanti nomi, si parla anche dei problemi quotidiani: le difficoltà nel lavoro dei genitori, le caste, i matrimoni precoci, l’inquinamento dell’ambiente.
Nel 1993 si costituì uno speciale organo che amministra le centinaia di scuole di notte sparse su tutto il territorio indiano. Il Bal Sansad, Parlamento dei Bambini, è formato da un presidente (oggi è Neraj, la ragazzina di cui parlavamo) e 13 ministri, eletti dai bambini delle Night Schools ogni due anni. Il Parlamento si riunisce una volta al mese per discutere dei problemi delle scuole: l’approvvigionamento di materiale didattico, l’efficienza dei maestri, l’agibilità delle aule, la partecipazione dei bambini alle lezioni. Non è un gioco, è un organo che ha concreti poteri.
L’idea che lo sostiene è che la politica, quando è pulita è fatta per migliorare la vita delle persone (grandi e piccole), e che ciascuno può e deve dare il proprio contributo perché il sistema funzioni. Molti dei bambini che hanno fatto parte del Parlamento proseguono in età adulta il loro impegno nell’ambito del Barefoot College – e delle centinaia di altre piccole associazioni locali derivate dal College, per portare avanti il lungo e paziente lavoro di cambiamento della mentalità: trasformare la gente delle campagne, analfabeti e semianalfabeti che spesso non hanno consapevolezza delle proprie possibilità e dei propri diritti in persone autonome, responsabili e in grado di affermare la propria dignità".

3 commenti:

Silvia Merialdo ha detto...

Bellissimo articolo!
Mi commuovono sempre le storie di bambini che vanno a scuola nonostante tutto, in scuole ricavate in ambienti diversi, con insegnanti mossi più dalla passione che dallo stipendio mensile (anche se nella povertà urbana, è proprio quello che ho vissuto a Mumbai lo scorso mese!).

Quando viene presentato il documentario a Ferrara? Sono corsa a cercarlo sul sito di Internazionale ma non l'ho trovato!

Elisa Chiodarelli ha detto...

grazie Silvia!
avevo proprio bisogno di una voce amica! oggi è stata una giornata...
comunque, il documentario è sabato 2 ottobre alla sala Boldini, proprio in centro, a un passo dal Teatro Comunale alle 18. Non c'è sul sito di Internazionale perchè fa parte delle iniziative che il Comune di Ferrara aggiunge al programma proposto da Internazionale, la rivista.
Appena il comune lo pubblica sul suo sito lo linko (si può dire?).
I bambini erano fantastici, come sempre. E'anche bello vedere come siano entusiasti di andare a scuola anche se ad un orario strano: mi ricordo che ce n'era uno che durante la lezione che abbiamo filmato si è addormentato dalla stanchezza :-)
Se vieni a vedere il documentario mi fai un piacere immenso!

Silvia Merialdo ha detto...

Grazie mille per l'informazione.
Non solo una voce amica, ma hai anche tutta la mia solidarietà nei confronti di questa iniziativa!

Cerco sicuramente di venire a Ferrara, se i vari casini familiari non mi portano a Genova (la mia città natale...)!
Comunque ci sentiamo prima, a presto.

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