domenica 28 luglio 2013

Perchè i contadini coltivano il tè


Tea for Two from The Perennial Plate on Vimeo.

Ogni tanto, quando ne ho bisogno, mi preparo una tazza di chai, il tè indiano con latte e spezie (e tanto zucchero).
Mi mette di buon umore, mi fa stare bene. E mi ricorda certi momenti dei miei viaggi, quando ci si ferma per gustarsi una tazzina di questa cosa profumata e intensa.

Durante i viaggi per fare le riprese dei documentari, quando ci offrivano una tazza di chai, era una pausa così piacevole, prima di rimettersi in moto, con la testa concentrata sulle cose da fare, le inquadrature, le interviste. Oppure - nei viaggi più rilassati - quando le persone conosciute, anche semplicemente i proprietari dei negozi in cui si facevano acquisti, spedivano il commesso più giovane a prendere una tazza di tè per gli ospiti.

In questo video molto dolce di The Perennial Plate, si racconta la storia di due coltivatori di tè, una coppia di mezza età di Sri Lanka.
Nella loro intervista, prima ancora di raccontare come coltivano il loro tè, viene fuori la loro storia personale. Il giorno in cui si conoscono, promessi sposi di un tradizionale matrimonio combinato, i primi sguardi, le scintille di un'intesa immediata per una storia d'amore che dura da 34 anni.
"E' perché facciamo tutto insieme" - dicono entrambi.
Far germogliare le piantine giovani, ripulire il giardino, preparare il curry, raccogliere la frutta, guardare la tv, e poi mangiare il cibo preparato.
Coltivare insieme le piante di tè, con cura e dedizione; tutto fatto con amore, come il primo giorno.

giovedì 11 luglio 2013

Vandana e i semi


Two Options from The Perennial Plate on Vimeo.

Se una multinazionale agroalimentare volesse trasformare l'indipendenza dei contadini in fatto di sementi in una dipendenza degli stessi da questa stessa multinazionale, come farebbe?

In questo brano di intervista Vandana Shiva, scienziata e attivista indiana ormai piuttosto nota a chi si interessa di questioni economiche globali in relazione al cibo, ci spiega come funziona - secondo il suo punto di vista - il meccanismo di acquisizione del potere delle grandi multinazionali americane.

In India l'agricoltura è ancora in mano ai piccoli proprietari terrieri e contadini che vivono nei villaggi e che cercano di cavarsela in un mercato globale sempre più complesso e difficile da interpretare.
Il punto di partenza sono i semi, che i contadini sapevano conservare - in un passato non troppo lontano - recuperandoli dalle coltivazioni dei loro campi o che acquistavano dai commercianti locali.

Ma quando un colosso del mercato agroalimentare arriva in un paese come l'India, la prima cosa che fa è cercare di dimostrare la superiorità qualitativa e di resa delle sue sementi. Promette che i suoi semi produrranno di più e saranno più resistenti a siccità e malattie. Per essere più sicuri, suggerisce ai contadini di acquistare - oltre alle sementi ibride OGM - anche i prodotti chimici (pesticidi o fertilizzanti) ad hoc per quelle specifiche varietà.
Oltre a promuovere a tappeto i suoi prodotti, la multinazionale acquisisce le aziende locali di selezione dei semi. O perlomeno cerca di entrare nella gestione, in modo da influenzarene il più possibile ogni attività.

A dire la verità, questi nuovi semi della multinazionale, sono piuttosto costosi per i contadini, ma d'altra parte, promettono una resa così alta che con una stagione di semina si dovrebbero recuperare i soldi spesi, e anche di più.
E se i contadini non avessero abbastanza soldi per comprare semi e pesticidi?
Potrebbero sempre rivolgersi ai prestatori di denaro, o alla banca…
E se il raccolto non fosse così ricco come promesso? Se non si potessero ripagare i propri debiti immediatamente, forse si potrebbero chiedere altri soldi per tentare ancora di seminare i semi miracolosi…
Se infine non si riuscisse più ad uscire da questo circolo vizioso, alla fine resterebbe solo l'ultima opzione: buttar giù lo stesso pesticida che doveva servire a far vivere la famiglia in modo dignitoso.
Forse così lo stato pagherà un risarcimento alla vedova, che basterà per andare avanti ancora un po'.

Avendo letto molto su questi argomenti - del cotone transgenico della Monsanto - e i meccanismi che innesca nelle società povere o in via di sviluppo, mi sono resa conto che la lettura della realtà è molto contraddittoria.
Lasciando perdere la visione delle stesse multinazionali (che ovviamente è di parte, dati gli interessi economici), anche tra coloro che non hanno interessi diretti a vendere le sementi OGM, soprattutto tra gli scienziati, pare che ci sia un fronte comune pro multinazionali.
In realtà ciò che sostengono e difendono è la produzione di organismi modificati geneticamente, che potrebbe non costituire un pericolo per la salute di uomini e pianeta. Questo è molto probabile, per una serie di osservazioni oggettive della realtà.
Ma quello che mi chiedo è come si fa a non considerare globalmente, in particolare dal punto di vista di chi non può scegliere (i contadini, e anche noi ricchi consumatori) le conseguenze del monopolio di un potere così grande e ramificato in agricoltura.

Allora preferisco il punto di vista di Vandana Shiva, che ci invita a proteggere il cibo per proteggere il futuro del mondo.
"Un 'no' detto con consapevolezza è mille volte meglio di un sì detto per evitare fastidi o far piacere agli altri" (M.K. Gandhi).
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