venerdì 31 maggio 2013

Turbanti parlanti

Uno dei tratti distintivi estetici che caratterizzano l'eleganza maschile in India, è l'uso del turbante.
Certo non è solo una questione estetica, ma come forse sapete già, un uomo che indossa un turbante in questo paese lo fa per una complessa serie di ragioni che vanno dall'identificazione in un gruppo religioso - i Sikh sono un esempio lampante - o in un gruppo sociale (una casta), ma anche per comunicare uno status o una condizione particolare in un certo momento della vita, oppure per ragioni pratiche, dato che il turbante può essere usato a tanti scopi.

Le immagini che vedete in questo post sono state scattate nella città di Udaipur, in Rajasthan, nel Museo Bagore ki Haveli, che offre al visitatore una bella collezione di oggetti eterogenei - dai burattini di stoffa del teatro rajasthano, ai turbanti tradizionali di questo stato appunto, agli oggetti di uso quotidiano in una antica haveli rajput - sparpagliati nelle stanze e nei cortili di questa abitazione cittadina tradizionale trasformata in museo.

E' una visita rilassante e anche divertente, che culmina - nella sezione turbanti - con una vetrina in cui è esposto il turbante più grande del mondo (vi risparmio la foto), un budello di seta rosa brillante tutto attorcigliato, chiuso in una teca di vetro appannato dal tempo.

Credo che questa 'meraviglia' si contenda il primato con il turbante di Baba Major Singh, un signore sikh che si è conquistato il record mondiale perché indossa (spero non tutti i giorni) un turbante fatto con più di 400 metri di seta blu, decorato con più di 50 simboli religiosi in metallo per un peso totale di circa 35 chili!

Scherzi a parte, il turbante in India è un affare serio: c'è un turbante per ogni occasione e per ogni stagione della vita, specialmente in certe zone del paese, come negli stati del nord ovest, Rajasthan, Gujarat o Punjab.
Qui indossarne uno di un certo colore o arrotolato attorno alla testa in un certo modo significa dichiarare la propria casta di appartenenza o un momento particolarmente importante della propria vita (un matrimonio in famiglia, la nascita di un figlio o la morte di un parente).
In Gujarat e in certe parti del Rajasthan si usano turbanti di stoffa tye and die o block print per i quali in base ai motivi floreali o alle fantasie geometriche stampate, è possibile dedurre informazioni sulla famiglia o lo status sociale di chi li porta. Un uomo non si sentirà completamente 'vestito' senza il suo turbante, che  incorona la testa e dichiara pubblicamente il suo posto nel mondo.
Rappresentava (chissà se questo vale ancora) la parte più nobile dell'uomo, tanto che era considerato un simbolo del suo onore: togliersi il turbante significava arrendersi a qualcun altro e se veniva strappato, questo era considerato un grave insulto.
Era simbolo della successione del potere: quando il capofamiglia moriva, il figlio maggiore ereditava il suo turbante. Un pezzo di stoffa lungo da pochi metri fino a 23 (come per il pagri rajasthano) che rappresenta tutto un mondo di gerarchie, valori e regole sociali.



sabato 25 maggio 2013

Come si fanno i Jalebi


DEEP FRIED SWEET SHOP from warmeye on Vimeo.

Passeggiando per le strade e i bazaar indiani, capita di fermarsi in estasi di fronte a certe montagne luccicanti giallo zafferano di jalebi.
Cosa sono? Si tratta di dolci indiani fritti che si possono sgranocchiare passeggiando e sono talmente belli che come si fa a resistere?
Quando il pasticcere li prepara, sembrano delle versioni esuberanti di bretzel tirolesi, incrociati con una frittella nostrana, ma addizionati di giallo fluorescente, perchè in India non ci si può far mancare il colore, che in questo caso è superlativo.
Come vedete dal video (di Warmeye, su Vimeo), anche le api una volta assaggiati i jalebi, non possono più farne a meno, e fanno molta fatica a volare via, così ubriache di zucchero ...

Se volete prepararli in casa, vi do la ricetta.
Tenete presente che sarebbe meglio preparare la pastella la sera per poi friggerla il giorno dopo, perché deve avere il tempo di fermentare, specialmente se usate lo yogurt…

Ecco gli ingredienti:
300 gr di farina 00
20 gr di farina di riso (o maizena)
un cucchiaino di zucchero
mezzo cucchiaino di lievito per dolci oppure 30 ml di yogurt naturale
200 ml di acqua tiepida
2 gr di zafferano, leggermente arrostito, in polvere (o colorante alimentare giallo)

200 gr di zucchero
200 ml di acqua
un cucchiaino di succo di limone
2 gr di polvere di semi di cardamomo
un cucchiaino di acqua kewra (pandano, si può cercare nei negozi di alimenti esotici) o acqua di rose

olio vegetale per la frittura

Mescolare la farina 00, la farina di riso, il cucchiaino di zucchero, il lievito già sciolto in un po' di acqua tiepida o lo yogurt e 100 ml di acqua in una ciotola.
Mescolare bene e poi aggiungere l’acqua rimanente e lo zafferano. La pastella deve rimanere consistente (vedi quella del video!)
Mettere da parte per tutta la notte per far fermentare (o perlomeno alcune ore).  
Mescolare bene prima di usare la pastella.  
   
Preparare lo sciroppo sciogliendo lo zucchero nell’acqua, aggiungere il cucchiaino di succo di limone e far cuocere finché lo sciroppo si addensa.
Prima che lo sciroppo sia pronto, aggiungere il cardamomo in polvere e l'acqua di rose o di kewra. Tenere caldo.
 
Scaldare l’olio in una padella per friggere.
Versare la pastella (con un sac à poche) fermentata in modo uniforme nella padella formando delle spirali. Farne poche per volta.
Friggere finché i jalebi sono dorati e croccanti da entrambi i lati, ma non troppo scuri.  
Togliere dalla padella e scolare su carta da cucina; immergere nello sciroppo caldo.
Lasciare per qualche minuto, in modo che assorbano lo sciroppo.  
Scolarli dallo sciroppo e servirli caldi.

Si possono anche accompagnare con del gelato alla vaniglia.
Bon appetit!

mercoledì 15 maggio 2013

Elefanti

Tra tutti gli animali indiani - capre, cammelli, scimmie, corvi, pavoni, scarafaggi, serpenti, cani randagi e le onnipresenti vacche - quelli che mi affascinano di più, forse, sono gli elefanti.
Ricordo un elephant ride in Nepal, nel parco di Chitwan, per vedere il rinoceronte, e del senso di sicurezza dovuto al fatto di trovarmi così in alto, su una pedana di legno in groppa ad un elefante. Ricordo anche il tentativo di 'cavalcare' un elefante in Sri Lanka, tanti anni fa, quando mi fecero accomodare al posto del mahut, su un pezzo di sacco, con le gambe dietro le orecchie dell'elefante. Aveva dei peli lunghi e pungenti sulla testa, le uniche cose a cui potevo aggrapparmi per non cadere da 2 metri e mezzo!

Quest'anno ho provato l'ebbrezza di un elephant ride al palazzo di Amber, Jaipur, cosa che fanno centinaia di turisti ogni giorno, per tutti i giorni dell'anno, sù per la salita che porta alla fortezza.
Costa 900 rupie, circa 13 euro, per un viaggio di un quarto d'ora su una piattaforma in groppa all'elefante (ci si sta in tre, forse 4 se non troppo grossi).
Naturalmente mi sono venuti tutti gli scrupoli possibili: l'elefante fa molta fatica, l'elefante viene sfruttato sistematicamente dal suo proprietario, che sfrutta anche i mahut, sottopagati e costretti a lavorare troppe ore. L'elefante viene maltrattato e io (turista) sono la causa, l'elefante vive in condizioni innaturali, l'elefante un giorno si ribellerà e schiaccerà me (turista) e me lo sarò meritato.
Io e l'elefante siamo i burattini di una tragicommedia della quale non voglio fare parte.
Risultato: sono salita lo stesso.

Mi sono comunque fatta prendere dal fascino di questi animali meravigliosi, silenziosi e vasti, con gli occhi così piccoli rispetto a tutto il resto e così delicati mentre camminano e sbuffano.
La pelle dell'elefante è un meteorite venuto dalla galassia, è la corteccia di un cedro del libano, la catena dell'Himalaya vista dallo spazio.
Quando un elefante cammina, si sente solo la campana attaccata al collo, con quattro metri di corda. Quando soffia è come una balena che emerge dall'oceano. Quando arranca sù per il sentiero, vedi le ossa delle scapole, sotto la crosta grigia della pelle, che si muovono, ma chissà a che profondità sono.
Il mahut parla all'elefante, mentre cammina. E quando sono fermi, si appoggia sulla sua testa come se fosse il divano di casa.

Il mio elefante era una femmina e si chiamava Chanchal.
Il mahut mi spiegava che si usano solo femmine per queste cose, perché i maschi possono essere aggressivi. La mia Chanchal aveva 5 anni e faceva 5 salite al giorno. Il suo boss (del mahut) aveva 5 elefanti, che gli sono costati 300 mila rupie l'uno (circa 4.200 euro), sicché facendo i conti dei guadagni, il boss è un uomo ricco (il mahut ha confermato).

Gli elefanti utilizzati per scopi turistici - come Chanchal - o religiosi, possono costituire una voce di guadagno molto significativa. Pensate che uno degli elefanti più famosi del Kerala - terra di processioni con elefanti -, Ramachandran, un elefante di 50 anni (pare che sia il secondo più alto in India, con i suoi tre metri al garrese) è talmente famoso e ammirato che viene richiesto molto spesso nelle processioni religiose in giro per lo stato. Questo fa guadagnare ai suoi proprietari fior di rupie... dai suoi guadagni il tempio che lo ospita ha potuto costruire un auditorium e ha acquistato anche un camion speciale per le sue trasferte.
Ma Ramachandran è diventato anche una celebrità e nessuna processione importante può fare a meno della sua presenza.
Si dice che qualche anno fa, a causa di un suo comportamento disubbidiente, il suo mahut abbia voluto punirlo duramente. Ramachandran allora scappò e si rifugiò al primo piano di un edificio, salendo a forza sù per le scale.
Poi però non riuscì più a scendere e si dovette usare una gru per portarlo a terra.
Grazie a questo episodio, il costruttore dell'edificio divenne famoso per la solidità dei suoi palazzi e anche il cementificio sfruttò la pubblicità involontaria per vantarsi della tenuta del suo cemento! ... pazzesco, no? ^-^

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