sabato 28 maggio 2011

Ahimsa

The greatness of a Nation and its moral progress can be judged by the way its animals are treated
(La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono desumere dal modo in cui vengono trattati gli animali) - M.K. Gandhi


domenica 15 maggio 2011

Ricordi in bianco e nero

Gandhi accompagnato dalla nipote Manu e da Khan Abdul Ghaffar Khan (sin.)
Durante una mia ricerca di informazioni sul web - cosa che porta via tanto tempo, ma regala delle scoperte inaspettate - mi è capitato di incontrare, grazie alla notizia riportata su Nuoveculture, il blog interssantissimo di Anushya S Yadav: The Indian Memory Project.
Anushya è una fotografa nata a Londra e trasferitasi poi a Jaipur, Rajasthan. Dopo aver conseguito un diploma al NID di Ahmedabad si dedica alla grafica e alla comunicazione, fino alla decisione di lavorare come fotografa e documentarista con base a Bombay.
Nella sua biografia si legge di molte prestigiose collaborazioni con riviste importanti e mostre fotografiche in varie gallerie in tutto il mondo.

Nel 2010 decide, dopo aver raccolto un certo numero di vecchie fotografie di matrimoni inviate su Facebook dagli amici, di dar vita ad un progetto sulla memoria delle famiglie indiane.
La memoria dei fatti - piccoli e grandi - che ogni famiglia conserva, e che a volte vengono raccontati proprio di fronte ad una immagine in bianco e nero dei tempi andati.
Matrimoni, certo, ma anche feste, diplomi, vacanze, riunioni di famiglia, nascite, occasioni ufficiali, battaglie politiche, guerre.

Ogni post in questo blog è costituito da una fotografia, corredata dal nome della persona che l'ha spedita e accompagnata da un suo commento alle immagini, con nomi e cognomi e soprattutto aneddoti su genitori, nonni, bisnonni e cugini che vi compaiono.
Le immagini spesso sono molto vecchie e sbiadite, e ritraggono un'India che non c'è più, ma che risulta estremamente affascinante conoscere nei particolari di vita quotidiana delle sue famiglie.

C'è per esempio la storia delle sei sorelle Yadav, tra cui la madre della fotografa, ritratte nel giorno del diploma; oppure la storia di Chameli Devi Jain (ritratta nel giorno del matrimonio), che divenne una attivista gandhiana e trascorse 4 mesi in prigione per aver partecipato ad una protesta; o ancora la foto del ritorno da un viaggio in Iran salutato, all'arrivo dell'aeroporto di Bombay, da una numerosissima delegazione familiare in festa.
Sono tutti da leggere, questi post, tutti estremamente commoventi.

venerdì 13 maggio 2011

Mandvi alla fine del mondo

La città di Mandvi, nel distretto del Kutch, Gujarat, sembra proprio alla fine del mondo.
E' una cittadina che si allunga sulle rive del golfo del Kutch, dove le acque dolci della Rukmavati si gettano nel mare. E' una zona piuttosto isolata e per arrivare qui da Bhuj - la capitale del distretto - ci si mettono quasi un paio d'ore. Tutta la zona è pianeggiante, con vaste zone incolte, dove il sale affiora dalla terra e si cristallizza in schiuma bianca, affiancate da appezzamenti coltivati a colza, ricino o cotone.
La città è famosa per essere stata un porto molto frequentato: dopo la fondazione nel 1581 ad opera del primo Re della dinastia Rajput Jadeja (discendenti della stirpe lunare fondata niente meno che dal dio Krishna), il traffico di merci e persone che approdavano o partivano da questo tratto di costa verso Africa orientale, golfo persico e coste del Malabar era considerevole.
I regnanti - i Maharao del Kutch - erano re potenti e ricchissimi, proprio grazie alla loro abilità nello sfruttare la posizione strategica di questo lembo di India protesa verso il mare e al centro di un mondo fatto di commerci e scambi molto più intensi e fecondi di quanto normalmente immaginiamo.



Ancora oggi, sull'estuario asciutto del fiume si possono vedere numerosi cantieri navali che producono imbarcazioni interamente costruite in legno con le tecniche tradizionali. Decine di operai si arrampicano ogni giorno sulle impalcature per lavorare con martelli e cordame impregnato di pece a sigillare le fessure tra le assi di legno piegate e inchiodate su questi impressionanti scheletri di navi.
Pare che le imbarcazioni siano pescherecci destinati al golfo persico o alle coste africane.
Ma Mandvi ha anche il fascino di una vecchia città fortificata, con le sue stradine strette in cui si allineano senza soluzione di continuità laboratori di sarti, carpentieri, gioiellieri, fornai, macellai (a Mandvi vive una numerosa comunità mussulmana), tintori.


Anche questo centro, assieme a molti altri del distretto del Kutch è famoso per la presenza di artigiani tessili specializzati nella tecnica bandhani, di cui ho parlato qui, e per una tecnica particolare di tessitura chiamata mashru.

Per creare tessuti con questo sistema si utilizzano telai tradizionali montati in modo che il tessitore si sieda sul pavimento sistemando le gambe in un buco appositamente scavato, in cui sono sistemati i pedali del telaio. I motivi decorativi che si producono sono soprattutto geometrici, a righe in paticolare, resi più belli grazie all'uso di fili di seta assieme al cotone di base, che fanno risaltare i colori della trama.

Khengarji III


Ma Mandvi è famosa anche per il palazzo reale, costruito nel secolo scorso all'interno di un verdissimo parco di 450 acri, a due passi dalla spiaggia.
Uno degli ultimi regnanti Jadeja, Pragmalj II (1839-1875) diede inizio alla stagione di costruzione delle magnifiche residenze reali della regione: ordinò l'edificazione del palazzo Prag Mahal di Bhuj, progettato da un architetto inglese, ma fu soltanto con suo figlio Khengarji III (1866-1942) che Mandvi fu arricchita dalla costruzione della residenza estiva reale in stile rajput, chiamata Vijay Vilas Palace, in onore del figlio Vijay.

Khengarji fu un re di larghe vedute, di grandi abilità strategiche e di considerevoli capacità diplomatiche. Nei 66 anni del suo regno si impegnò per far costruire e ammodernare il sistema ferroviario di questa parte di India, migliorò il sistema agricolo, fondò alcune scuole ed istituti universitari apprezzati anche oggi e intrattenne, nel corso di numerosi viaggi all'estero, rapporti di amicizia con l'aristocrazia europea, compresa la regina Vittoria.
Per dovere di ospitalità, ebbe molti illustri invitati presso il Vijay Vilas Palace, con i quali si divertiva ad avventurarsi nelle cacce alla tigre (e a tutti gli altri felini di grossa taglia) che vivevano sulle sue terre.
Molti di questi finirono impagliati nei suoi salotti...

Il Palazzo è davvero un posto speciale, immerso com'è nel verde del parco silenzioso che lo circonda, punteggiato di padiglioni ricamati e romanticamente decadenti, con il rumore delle onde del mare a poca distanza. Qui sono state girate anche alcune scene di famosi film di Bollywood, come Lagaan e Hum Dil De Chuke Sanam.

Dopo aver visitato le sale a pian terreno, una teoria di salotti arredati con divani di velluto, specchi dorati, lampadari di murano e memorabilia varie (comprese le immagini in bianco e nero dei tempi della caccia alla tigre), si può salire sul tetto a terrazza sormontato da una copertura a cupola da cui si può ammirare tutto il paesaggio circostante. Credo che qui i Maharao abbiano trascorso dei pomeriggi molto piacevoli: il panorama è bellissimo e c'è un silenzio perfetto per stare semplicemente lì fermi in contemplazione.


Infine, merita un giretto anche la spiaggia della città, gremita di ragazzi in gita scolastica e famiglie in vacanza. Per loro vengono messi a disposizione cammelli per una 'cavalcata' e una foto ricordo, proprio di fronte ai mulini a vento istallati fin dal 1983 che producono energia eolica per buona parte di questa provincia.


domenica 1 maggio 2011

Gajar ka halwa - Halwa di carote

Oggi, chissà perchè, mi viene voglia di suggerire una ricetta. Questo non è un blog di ricette, ma a me piace cucinare, e a volte mi chiedo perchè no, perchè non parlare anche di questo argomento. Allora scelgo di parlare di un dolce, che a me piace molto e che ha anche un colore bellissimo: l'Halwa di carote.
Certo, le carote indiane sono un po' diverse dalle nostre, sono più scure e molto meno belle da vedere quando vengono esposte sui banchi di frutta e verdura. Da noi probabilmente subiscono un trattamento di make up prima di venire esposte, vengono pulite e sbarbate. Invece in India si presentano al naturale, con qualche ciuffo di radici scomposto ancora attaccato e qualche crepa qua e là.
In ogni caso, dopo un'accurata pulizia, si possono usare per preparare questo dolce bello e buono.


dosi per una terrina di Halwa (6 persone)

800 gr di carote
1 litro di latte intero, possibilmente fresco
400 gr di zucchero
1 hg di burro o ghee, se a disposizione
5 bacche di cardamomo
una manciata abbondante di uvetta
una manciata di pistacchi e di anacardi

Raschiate, lavate e asciugate le carote, mettete a bagno l’uvetta in un po' di acqua tiepida; preparate anacardi e pistacchi. Macinate i semi contenuti nelle bacche di cardamomo. Grattugiate le carote.
Fate ridurre il latte intero su fuoco dolce per una ventina di minuti e tenete da parte (mescolando, perchè bollendo non esca dal recipiente).
In una pentola a fondo spesso, fate sciogliere il burro e aggiungete le carote tritate, mescolate. Dopo 10 minuti inizieranno a cambiar colore.
Aggiungete adesso il latte già bollito e ridotto. Unite poi lo zucchero, e mescolate finchè il composto si caramella e si asciuga (circa 15 minuti). Incorporate la frutta secca tenendone da parte un po' per la guarnizione.
Trasferitelo ancora tiepido in un recipiente unico o in coppette individuali. Guarnite con il resto della frutta secca. Servite tiepido.


Se volete, potete dare un'occhiata al sito di Manjula, che prepara per noi questo dolce nella sua cucina.
Le immagini che ho postato si riferscono all'ottimo Halwa servito nel ristorante dell'Hotel Sarovar Portico di Ahmedabad. Hotel di lusso - almeno per lo standard dei miei viaggi - dove ogni sera (o quasi) si celebra un matrimonio con centinaia di invitati nell'ampio giardino affacciato sul fiume Sabarmati. Ma questa è un'altra storia...  
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