lunedì 21 maggio 2012

Terremoto

Questo ultimo fine settimana non credo lo dimenticherò mai più. Nella notte tra sabato 19 e domenica infatti, alle 4,04 per la precisione, casa mia come molte altre a Bondeno (Ferrara) ha tremato furiosamente per 20 secondi. Mi sono svegliata con il cuore in gola scossa dai movimenti e dal rumore sordo di tuono del terremoto; l'elettricità non c'era più e sbattendo un po' ovunque nel buio e nel frastuono mi sono precipitata a prendere mia figlia che mi chiamava forte, incapace di alzarsi dal letto.
Siamo scese e volate in giardino, scalze, per rifugiarci in macchina. E lì abbiamo trascorso anche la notte tra domenica e lunedì 21, parcheggiate in un piazzale assieme a molti altri bondenesi.

Un'esperienza surreale,  per la paura costante di sentire quel suono sordo che annuncia le scosse e il conseguente tuffo al cuore che ti fa scappare via, fuori, lontano da casa tua, che si trasforma in un luogo pericoloso. Un'esperienza faticosa anche, per la tensione accumulata ora dopo ora e l'incapacità di dormire o di abbassare la guardia, il suono costante delle sirene, il tempo dilatato.



Mi sono venute in mente le foto che ho scattato lo scorso anno a Bhuj, capitale del Kutch, Gujarat.
Lì nel gennaio 2001 ci fu un terremoto devastante, con migliaia di vittime, edifici distrutti, economia in ginocchio. Se ne ha un'idea visitando uno dei monumenti cittadini, il Prag Mahal, palazzo de Maharaja locale, costruzione in bilico tra stile moghul, eleganza vittoriana e grandeur parigina, ma realizzato in 'stile gotico italiano' (i lavori furono ultimati nel 1879). Sia all'esterno che all'interno il palazzo è rimasto praticamente come all'indomani della prima mattina del 26 gennaio 2001, quando una scossa di magnitudo 7,6 fece crollare muri, tetti, colonne e decorazioni in terracotta. Certo, non è nulla in confronto alle 20.000 vittime e ai migliaia di sfollati, che impiegarono anni prima di riprendere una vita normale.
E' un luogo spettrale, che però conserva un fascino tutto speciale.


domenica 13 maggio 2012

Il cuoco del monastero

Durante la prima settimana di ottobre del 2011, sua santità il Dalai Lama ha condotto una serie di seminari aperti al pubblico a Dharamsala, in India. Per quattro giorni, le cucine del monastero di Nyamgal hanno preparato la colazione e il pranzo per le oltre 5000 persone radunate nelle sale della struttura.
A cucinare per così tanta gente, un cuoco tibetano, un rifugiato come tanti, che anni prima decise di fuggire dal Tibet assieme a tutta la sua famiglia - sei figli e l'anziana madre - per dare loro la possibilità di vedere il Dalai Lama (che, come sapete, nel 1959 fu costretto a fuggire dal Tibet a causa dell'occupazione politica e militare cinese) e dare ai ragazzi la speranza di un futuro migliore.


Questo bel film, che a quanto leggo fa parte di un corposo progetto di documentazione della vita dei rifugiati tibetani, racconta in 10 minuti - 10 preziosi minuti del nostro tempo - la storia della vita di Tenpa Choedon, a Dharamsala da sette anni, impiegato come cuoco nelle cucine del monastero.

Tenpa Choedon decise di partire ed affrontare il viaggio rischioso verso l'India perché era convinto che fosse l'unica possibilità per tutti loro di vivere in modo più dignitoso; purtroppo due dei suoi figli vennero arrestati al confine, ma ormai non era più possibile fare nulla, e l'intera famiglia dovette proseguire, nonostante la disperazione di aver perso i ragazzi.
Ed ora eccolo qui, a lavorare duramente tra i vapori delle cucine, mentre i suoi figli frequentano la scuola: la figlia maggiore è particolarmente brava e Tenpa Choedon è molto fiero di lei.

Questa è la sua storia in pochissime parole, ma il film ci mostra molto più di questo. Di fondo, credo sia la storia di tutte le persone che decidono di giocarsi tutto e provare a raggiungere un posto migliore per se stessi e per i propri figli. Per affrontare il Viaggio, qualsiasi migrante credo debba essere animato dalla visione di un futuro di lavoro, dignità, libertà.
Poi c'è la realtà da affrontare, che evidentemente è sempre dura, piena di trappole.
Tenpa Choedon sembra aver accettato la realtà in modo sereno. Certo, non lo possiamo sapere veramente, ma mi piace molto il suo sguardo diretto e luminoso, mentre racconta.
Sembra che per lui e la sua famiglia, vedere il Dalai Lama, fosse davvero una motivazione forte, un Grande Sogno, che li ha sostenuti, ha permesso loro di affrontare i rischi e li ha ricompensati una volta raggiunto lo scopo.
E mi viene da sorridere, pensando quanto è facile per me incontrarlo, a pochi chilometri da casa, basta prenotare un posto, prendere un treno, fare una fila.
E questo, se ci penso, è davvero assurdo…
E poi mi chiedo quanta forza ci voglia per accettare di non rivedere più i due figli rimasti in Tibet, di non abbracciarli più, o forse sì, ma chissà quando.

Ecco, credo che questo film sia un omaggio bellissimo alla forza positiva di questa gente che merita con tutto il cuore di essere ascoltata.

domenica 6 maggio 2012

Il tetto del mondo

Sarà che si sta avvicinando giugno, e giugno è il mese in cui andrò a Milano a vedere il Dalai Lama; sarà che sto leggendo un libro molto divertente, su un viaggio in Tibet (Filmistan effetto Tibet, di Nico Bosa), ma in questi giorni penso alle montagne e al buddhismo, fonte inesauribile di verità sorprendentemente semplici e profonde.



Ma andiamo con ordine: in giugno il Dalai Lama sarà a Milano. Il 27 e 28 infatti si prevedono due giorni di conferenza con l'Oceano di Saggezza, che poi ho saputo sarà anche a Udine questo mese di maggio. Una mia amica mi ha invitato ad andare con lei a Milano e io non mi sono fatta pregare! Immagino sarà un bagno di folla, ma è un'occasione che non vorrei perdermi per ascoltare dalla sua voce le parole che ho letto o ascoltato già tante volte e che sanno arrivare al cuore.
Faccio senza dire che per me la questione tibetana è un problema che coinvolge la coscienza di tutti noi, uno per uno, perché sappiamo fin troppo bene, anche senza conoscere i particolari, cosa significano la repressione e la negazione dei diritti fondamentali dell'uomo quando sono perpetrati da uno stato - la Cina - nei confronti dell'intera popolazione tibetana. Ce lo ricordiamo dai racconti dei nonni e della guerra; lo abbiamo visto in tanti film o ascoltato da tante testimonianze dirette.
Perché non facciamo nulla?
Io intanto vado ad incontrare il Dalai Lama, e quando trovo qualche insegnante particolarmente aperto (sapete che faccio laboratori di intercultura a scuola), parlo del Tibet e del buddhismo ai ragazzi. E' il mio piccolo modo di contribuire.

Per quanto riguarda il libro di Nico Bosa (ed. Vallecchi), si tratta del racconto di viaggio attraverso le montagne himalayane, fino a Lhasa, di due amici, lo stesso scrittore e Massimiliano Prevedello, regista e videomaker. L'idea di partenza era quella di seguire le tracce del gesuita pistoiese Ippolito Desideri (1684-1733) per girare un documentario che raccontasse i suoi sei anni in Tibet. Sbarcato a Goa il monaco risalì tutta l'India fino al Kashmir, raggiunse Lahore, Shrinagar, Leh poi finalmente Shingatse, Sakya, Lhasa, Samye e Trong Gne. Nonstante il Tibet fosse già stato assegnato alla competenza dei padri cappuccini, Desideri rimase per anni presso i Gompa locali, studiando il tibetano e i testi buddhisti, raccontando le sue esperienze di vita durissima in cinque libri andati perduti per più di un secolo. Il libro di Bosa è un racconto molto piacevole del viaggio rocambolesco sulle orme di Desideri condito con aneddoti e riflessioni su incontri con turisti o personaggi locali, strade impossibili, imprevisti dovuti alle guerre di confine, suggestioni e atmosfere, ricordi che Bosa, come chiunque abbia affrontato un viaggio un po' avventuroso in terre sconosciute, sperimenta e poi non dimentica più.

Ho inserito qui un video di ispirazione tibetana, ma ne arriveranno altri. Questo racconta la storia di quei bambini tibetani che i genitori fanno uscire dal Tibet per cercare l'opportunità di una vita migliore e più libera in India. Il video è di Sunny Zorawar
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