Durante la prima settimana di ottobre del 2011, sua santità il Dalai Lama ha condotto una serie di seminari aperti al pubblico a Dharamsala, in India. Per quattro giorni, le cucine del monastero di Nyamgal hanno preparato la colazione e il pranzo per le oltre 5000 persone radunate nelle sale della struttura.
A cucinare per così tanta gente, un cuoco tibetano, un rifugiato come tanti, che anni prima decise di fuggire dal Tibet assieme a tutta la sua famiglia - sei figli e l'anziana madre - per dare loro la possibilità di vedere il Dalai Lama (che, come sapete, nel 1959 fu costretto a fuggire dal Tibet a causa dell'occupazione politica e militare cinese) e dare ai ragazzi la speranza di un futuro migliore.
Questo bel film, che a quanto leggo fa parte di un corposo progetto di documentazione della vita dei rifugiati tibetani, racconta in 10 minuti - 10 preziosi minuti del nostro tempo - la storia della vita di Tenpa Choedon, a Dharamsala da sette anni, impiegato come cuoco nelle cucine del monastero.
Tenpa Choedon decise di partire ed affrontare il viaggio rischioso verso l'India perché era convinto che fosse l'unica possibilità per tutti loro di vivere in modo più dignitoso; purtroppo due dei suoi figli vennero arrestati al confine, ma ormai non era più possibile fare nulla, e l'intera famiglia dovette proseguire, nonostante la disperazione di aver perso i ragazzi.
Ed ora eccolo qui, a lavorare duramente tra i vapori delle cucine, mentre i suoi figli frequentano la scuola: la figlia maggiore è particolarmente brava e Tenpa Choedon è molto fiero di lei.
Questa è la sua storia in pochissime parole, ma il film ci mostra molto più di questo. Di fondo, credo sia la storia di tutte le persone che decidono di giocarsi tutto e provare a raggiungere un posto migliore per se stessi e per i propri figli. Per affrontare il Viaggio, qualsiasi migrante credo debba essere animato dalla visione di un futuro di lavoro, dignità, libertà.
Poi c'è la realtà da affrontare, che evidentemente è sempre dura, piena di trappole.
Tenpa Choedon sembra aver accettato la realtà in modo sereno. Certo, non lo possiamo sapere veramente, ma mi piace molto il suo sguardo diretto e luminoso, mentre racconta.
Sembra che per lui e la sua famiglia, vedere il Dalai Lama, fosse davvero una motivazione forte, un Grande Sogno, che li ha sostenuti, ha permesso loro di affrontare i rischi e li ha ricompensati una volta raggiunto lo scopo.
E mi viene da sorridere, pensando quanto è facile per me incontrarlo, a pochi chilometri da casa, basta prenotare un posto, prendere un treno, fare una fila.
E questo, se ci penso, è davvero assurdo…
E poi mi chiedo quanta forza ci voglia per accettare di non rivedere più i due figli rimasti in Tibet, di non abbracciarli più, o forse sì, ma chissà quando.
Ecco, credo che questo film sia un omaggio bellissimo alla forza positiva di questa gente che merita con tutto il cuore di essere ascoltata.
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