sabato 7 agosto 2010

Trame di pietra e trame di seta


Visitando il Gujarat non si può fare a meno di vedere, oltre alla collina sacra di Palitana e al tempio del sole di Modhera, anche le architetture dei pozzi e delle cisterne reali. A Patan si conserva per esempio il pozzo Rani ki Vav (il pozzo della Regina) risalente alla dinastia Solanki, dell’undicesimo secolo.

Si tratta di una profonda fenditura che scende per diversi metri, attraverso sette livelli.
Per arrivare al fondo della cisterna, gli architetti hanno progettato una serie di piani, alcuni dei quali coperti da padiglioni sostenuti da colonne, il tutto riccamente decorato di bassorilievi raffiguranti i protagonisti della mitologia indiana: le discese (avatara) di Vishnu, ninfe celesti, cavalieri, animali, fiori e motivi geometrici.
Di nuovo, come a Modhera, si ripropone la sensazione che il ritmo del tempo e della vita di uomini e divinità intarsiati nella pietra stesse a cuore a questi artisti, così come ai loro mecenati.
Le pareti del pozzo sono trasformate in una specie di arazzo intricato e meraviglioso in cui il mondo prende forma e ordine in modo da poter essere letto.


Ma la stessa ansia di spiegare il mondo su una superficie piana, la ritroviamo nella seta Patola che le ultime famiglie di tessitori producono ancora qui a Patan.


La famiglia Salvi per esempio si dedica da generazioni -il capofamiglia mi spiega che i suoi avi si trasferirono qui dal Maharastra centinaia di anni fa- alla produzione della seta Patola, con la tecnica del doppio ikat.
I fili di seta che comporranno trama e ordito vengono tinti preventivamente (ancora con colori vegetali) alla tessitura, in base ad un disegno già progettato.
Ciò significa che il tessitore dovrà tingere ciascun filo di diversi colori (sia nel senso della trama che in quello dell’ordito) aiutandosi con la tecnica della legatura. Una volta asciutti, i fili verranno composti sul telaio in base al disegno già pre-impostato durante la tintura: un lavoro di precisione infinita, che una volta terminato assomiglia incredibilmente ai bassorilievi dei pozzi della città.

L’argomento è davvero appassionante: ad Ahmedabad si può visitare il magnifico museo Calico, fondato dalla famiglia Sarabhai, proprietaria nel ‘900 di importanti fabbriche tessili del Gujarat.
Profondamente appassionati di arte -soprattutto dell’arte della tessitura- misero insieme una collezione dei più bei tessuti provenienti da tutta l’India, creati dall’ingegno paziente e visionario di artigiani anonimi ma straordinariamente abili.
Vedendo quello che sono stati in grado di fare -e che fanno ancora oggi- ci si rende conto di quanta passione e quanta arte richieda la produzione di tessuto; sull’onda dell’entusiasmo ho acquistato questo libro che spiega alcune delle mille tecniche di tessitura, ricamo, applicazione, traforo della stoffa. E mi sono resa conto di quanto poco si sappia in genere su questo argomento…

"Tante parole. Tante cose. In un telaio il nome di un cilindro cambia ogni due centimetri. Perché? Ogni chiodo ha un nome, ogni pezzo di corda, ogni occhiello, ogni cannuccia di bambù sul liccio. Un telaio è un dizionario, un glossario, un’enciclopedia. Perché? Le parole non vengono a proposito; non hanno nulla di meccanico. No, è perché il tessitore, facendo la tela, crea anche parole, e viola il territorio dei poeti, dà nomi alle cose che l’occhio non riesce a vedere. Ecco perché il telaio ha dato alla lingua più parole, più metafore, più modi di dire di tutti gli eserciti di scribacchini del mondo".
Da Il cerchio della ragione, Amitav Ghosh

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